“Pornocinella” di Cristian Izzo, tra meditazione e emozione
È arrivata la sera della prova generale di Pornocinella, lo spettacolo scritto, diretto e interpretato da Cristian Izzo, giovane ma esperto talento campano. Ne avevamo parlato giorni fa, i suoi progetti, le sue visioni e confesso che c’erano molte cose che si agitavano in me, anche se la curiosità la faceva da padrona. Curiosa perché Cristian mi ha raccontato i suoi viaggi, le sue esperienze all’estero, le sfide con se stesso, quell’ostacolo messo sempre un tantino più su, perché la ricerca è lunga.
Arriviamo così in una Torre del Greco calma e poco affollata; è questa la città che ha ospitato la compagnia “Il luogo in buio” precisamente il Polo Artistico Torrese, che raggiungiamo salendo scale che attraversano palazzi, vita quotidiana, spaccati di una serata qualsiasi, ma che ci conducono in un ingresso che ha già l’aria dell’internazionalità. Il saluto in lingua ceca non riusciamo a tradurlo, ma intuiamo che dopo quelle parole scritte su un foglio bianco, immacolato, ognuno di noi dovrà lasciare un pensiero e difficilmente dopo gli spettacoli di Cristian i pensieri latitano. Anzi. Il costo del biglietto che non c’è sarà ricompensato così, con un’emozione, con quello che avremo raccolto in questo lungo salone che ci accoglie. Una stanza che ospita a sua volta una mostra di Andrea Paggiaro in arte Tuono Pettinato, uno dei fumettisti più talentuosi d’Italia. Già questa accoglienza meriterebbe un articolo: il tavolo con il libro di Borges e i fumetti dei Peanuts di Schulz, i colori lasciati lì pronti a dar vita a nuove tavole; Garibaldi, Kurt Cobain, Alan Turing che ci guardano dalle pareti, dove spicca anche il manifesto che intima ALT, ma solo per ricordarci anche la presenza dell’Associazione Lettori Torresi … insomma se volessimo avremmo tempo da dedicare a molto altro, in questo salone salotto, con divani, sedie, come chi aspetta amici e dove c’è anche un palco, ma invece degli attori là sopra ci siamo noi. Ruoli scambiati ma Cristian sa che ai suoi “ospiti” riesce a lasciare segni profondi, per cui è bene che sappiano fin da subito quanto dovranno essere “protagonisti”.
Ma stasera siamo qui per questa compagnia nuova, formata, oltre che da Cristian Izzo, da Antonio Della Mura, Michaela Mikulova e Adèla Maresova. Quattro protagonisti per un’opera senza soggetto e che apparentemente ci regala come scenografia un telo bianco disteso in terra.
La breve attesa, visto il luogo, crea un’atmosfera strana. Sembra di essere stati invitati ad una festa dove conosci solo il padrone di casa, neanche un invitato (una si), ma non ti senti spaesata, sei solo curiosa.
Poi arriva il padrone di casa Silvio Fornacetti, ci saluta, ci ringrazia e lo spettacolo ha inizio.
Cristian prende un lato della lunga stoffa, lo alza come quando vuoi stendere un lenzuolo, lasciando che l’aria lo attraversi provocando una lunga onda e una delle voci comincia ad interrogarsi: Who I’m? Who?, Io chi song’ io? L’onda passa sotto i nostri occhi, sembra quella del mare che viaggia veloce verso una destinazione, ma improvvisamente, dall’altro capo parte un’onda opposta. E le domande che si ripetono continue ossessive si ritrovano nel centro, fino ad esserne assorbite.
Spezzoni di frasi, lingue sconosciute, domande, preghiere, ricerche, passato, mitologia, epica, filosofia, tutto si mescola dentro quei corpi affaccendati in uno sforzo di introspezione e di lavoro fisico. Nisciun m’ha cecat l’uocch’ e i loro corpi sembrano fantasmi attorcigliati dentro quell’unico pezzo di stoffa con il quale giocano al gioco della vita, che li fa partire, perdere, sfidare la sorte; ma le loro voci sono reali.
A un certo punto mi ritrovo Adela di fronte: è bella. Guarda fisso davanti a noi ma so che non ci vede. Il suo sguardo è lontano, naviga nel mare che ha accompagnato Ulisse. Chi so io, chi so? E di nuovo l’onda copre quel bel volto, rendendo anonima la voce, anche se la domanda è sempre la stessa. Chi sono io. Ognuno parla ed urla il suo essere niente e qualcosa, gli sforzi per cercare cose e persone che non hanno fatto altro che far perdere le cose che aveva e le persone che amava. Papà addò sta? Sempre – Mai
Le parole ad un certo punto diventano preghiere, litanie, mantra ossessivi, versi incomprensibili. Non importa più che stiano parlando con voci diverse, non è il problema di Babele, è la confusione dell’anima. Il lenzuolo che fa viaggiare e rende fantasma prende vita, mentre dai lati soffiano. E l’immagine sembra quasi voler profanare quel gesto immaginato nella notte dei tempi, quando un identico soffio rese l’uomo ricco di anima e non di sola carne.
Chell ca cercamm è chiù importante e chell ca lasciamm. Il troppo amore stanca. Si fa dolore. Amor mio, pechhé m’abbandunat?
E le voci ad una ad una scompaiono.
Noi nel frattempo siamo assolutamente in balìa di quel lenzuolo e di quel cercare. Siamo i compagni di Ulisse fatti prigionieri, trasformati, ubriacati dal canto delle Sirene e ci ritroviamo di fronte ad una scena che improvvisamente partorisce un uomo nuovo.
Io so. Io so Dio. Chi cerchiamo? Io cerco Io, solo con Io posso essere Dio.
Abbiamo creduto soltanto agli occhi e con gli occhi cerchiamo Cristo.
Un gesto per accecarsi; un lenzuolo per coprire la vista.
Ho cercato qualcosa e per cercarlo l’ho perduto.
Ubriachi, storditi da quel nulla che si materializza e scompare davanti a noi, rende incomprensibile a me e forse anche agli altri, non lo so, un monologo in dialetto di Cristian. È la nostra lingua, è il monologo più lungo della serata ma non l’ho più capito.
Penso a Cristian, a quello che lui vuole nel teatro e dal teatro: EMOZIONI. Quelle tre figure che non raccontano niente, che si muovono lente ripetendo solo parole incomprensibili ma che pur regalano una musicalità.
Perché questo è uno spettacolo senza musica. Tutta la melodia che ci ha accompagnati sono state le loro nenie, le loro singole voci.
Il Pulcinella della nostra terra che si è mescolato in una pornografica immagine di corpi, di storie, di passato, di leggende, di ricerca, di vittorie, di sconfitte diventando un Pornocinella dei nostri giorni.
C’è qualcosa di immutabile nella storia dell’uomo: il cercare. Non importa quanti altri milioni di uomini hanno intrapreso lo stesso viaggio, ci saranno sempre nuove barche che solcheranno lo stesso mare, ma con rotte diverse. E il motivo sarà sempre nell’unicità dell’uomo. Quell’uomo che anela ad essere Dio, ma invidiato dagli stessi Dei e Io chi so Io sarà sempre la domanda da porsi.
Interruttore giù e il buio totale avvolge la sala. È il colpo finale, è l’assoluto che conclude la ricerca.
Quando si riaccendono le luci loro quattro, mano nella mano, spettinati, sudati esausti e felici, cercano di capire dai volti di chi li ha guardati cosa è stato il loro lavoro, sorpresi da quell’applauso che non si ferma.
Ascolto le parole di Cristian che spiegano la difficoltà di questo lavoro fatto in solo pochi giorni di prova, dove ogni parte andava spiegata e tradotta, in uno sforzo che a volte lasciavo fuori proprio il giovane Antonio: Cristain non l’hai detta in italiano! Risate collettive, ma la genialità del lavoro proposto è palese.
Già da oggi 13 Aprile saranno tutti in viaggio, quattro giovanissimi che hanno incrociato le loro vite in quel piccolo pezzo di mondo che è un palcoscenico e hanno avuto l’ardire di allargarlo fino a farlo diventare mondo intero. Perché è proprio in tutto il mondo che porteranno i loro sogni, le loro ricerche, la loro voglia di essere protagonisti delle loro vite e non semplici comparse.
A Maggio ritorneranno e noi aspetteremo per disfare insieme nuove valige e scoprire nuovi racconti.