Il saluto per Mariano
Ciao Mariano, non avremmo voluto essere qui a parlare di te, avremmo preferito farlo con te, ma ancora una volta hai scelto tu i modi e i tempi del nostro stare insieme.
Non mi dilungherò troppo anche perché uno dei tanti regali che ci hai fatto è stato proprio imparare a gestirlo il nostro tempo e a reagire soprattutto in tempi brevi. Per noi, per tutti noi che siamo stati i tuoi ragazzi, è determinante non soffermarci sul problema, è fondamentale reagire.
Ed è per questa lezione, a cui hai testardamente e appassionatamente dedicato la tua vita, che ti vogliamo ringraziare.
Ti ho promesso di essere breve, anche se in un solo foglio è difficile comprimere decenni di vita.
Ogni campo scuola, ogni partita di pallone, ogni cena, ogni convegno, ogni lotta, ogni ricerca, organizzata con noi meriterebbe una testimonianza, così come tutte le battaglie che hai fatto per far sì che Cava diventasse sede di un centro di diabetologia che permettesse a tutti noi di poter usufruire della migliore assistenza, della maggiore conoscenza, della massima consapevolezza di questa malattia che accompagna per tutta la vita chi ne soffre, e a cui tu hai rivolto la stessa, identica attenzione, come se fosse anche la tua, tanto da farci coniare una mitica frase: “sei stato e sarai la nostra vera insulina”.
E allora, questo Tempo che ci stiamo concedendo, lo userò per ricordare la cosa più speciale che hai saputo e voluto creare, insieme alle persone speciali di cui ti sei circondato per realizzare tutte quelle vulcaniche e geniali idee che sempre ti hanno accompagnato: tu hai creato una famiglia.
Una gigantesca, rumorosa, mista famiglia che si è sentita accolta, protetta, difesa dalla tua e dalla vostra presenza e il risultato è qui, in questo nostro essere ora insieme ad affrontare la tua ennesima scelta.
Sei stato un medico, per noi lo sarai ancora e quello che vorrei che ti fosse chiaro, in questo ringraziamento breve, è quello che tu hai permesso di essere a noi: il risultato tangibile del tipo di lavoro che hai scelto di fare non come mestiere, ma come Missione e questo ha generato rispetto, condivisione, gratitudine, tutte cose che possiamo racchiudere in una sola parola e custodire come il dono più grande di cui si possa dare testimonianza: l’Amore.
Grazie doc, per sempre uno di noi.
Questo il saluto che ti abbiamo donato stamattina in una chiesa gremita a nome dei ragazzi del centro.
Scrivere ancora potrebbe risultare quasi ripetitivo, perché le parole nei tuoi confronti sono state davvero sempre molto simili, ma non ci siamo meravigliati di questo perché erano quelle che maggiormente rendevano l’idea di ciò che sei stato per ciascuno dei presenti, che hai conosciuto in qualità di familiare, medico, amico, politico, sportivo o in ciascuno dei tanti ruoli in cui ti sei misurato.
Talmente tanto apprezzato che le testimonianze hanno indotto il prete a scegliere per te il Vangelo dei talenti, parabola che si sposa perfettamente con ciò che sei stato.
La messa finisce, il sole ci accoglie caldissimo in questi giorni di ottobre in cui non c’è traccia di autunno e quello che mi colpisce sono i lievi sorrisi che comunque affiorano sui volti di chi da poco ti ha salutato, come se quel tuo spirito un po’ da monello, sempre tendente all’ottimismo piuttosto che alla negatività, fosse lì presente a contagiarci ancora, a darci ancora delle indicazioni.
Vado via da sola, ho del tempo a disposizione e dopo una sosta da mia sorella, ritorno sui miei passi e mi ritrovo di nuovo sull’ingresso della chiesa.
È aperta ma deserta. Resto lì qualche minuto, ascolto ancora la mia musica in cuffia e riguardo questo posto da una nuova angolazione, con diverse vibrazioni.
Mi trasmette tanta pace quell’immobilità che però è viva ancora delle tante emozioni provate solo poco tempo prima.
Quando decido di allontanarmi, leggo i manifesti che testimoniano la vicinanza alla famiglia. Tra le tante mi colpisce una frase che ha a che fare con un concetto “di incolmabile vuoto” che hai lasciato.
Scopro che riesco a dissentire anche con un manifesto, ma quella riflessione non mi lascia, nonostante il caldo e il sudore che non si ferma se pure provo a ingannarlo con un passo lento.
Non va via.
Perché quell’immagine di vuoto a me sembra invece che tu l’abbia perfettamente colmata?
Tutte quelle parole, tutto il tuo lavoro, il tuo vivere, il tuo relazionarti, che solo poco fa abbiamo testimoniato come eccezionale, perché si definisce “vuoto”?
Questa precisazione, che sa apparentemente di pignoleria, io la sento doverosa.
Cambiare la percezione di ciò che ci accade, guardare e sentire le “piccole cose” che poi cambiano tutto il resto.
Se mi interrogo su quello che è la Morte, imparo a vivere diversamente la Vita.
Se da chi mi sta accanto apprezzo il lavoro, l’amicizia, l’affetto, capisco che mi mancherà, è normale e molto umano, ma se mi fermo solo a questo allora ha senso parlare di talenti ben utilizzati?
Mariano, il nostro esempio, cosa ha fatto?
Mi fermo all’esperienza diabetologica non come paziente diretta, ma come moglie di un diabetico. E la mia testimonianza conta. Conta perché Mariano, come Di Blasi, come la Fresa, si sono relazionati anche con me, anche con i compagni di quei loro pazienti. Questa la prima lezione di condivisione che è andata oltre la gestione dei loro valori glicemici, perché quei piccoli numeri, incidono su cose molto più grandi.
E oggi che non c’è più, oggi che non possiamo più mandargli un messaggio, che non possiamo avere la sua attenzione sui tanti, tantissimi fastidi che si affrontano quotidianamente, cosa faremo? Penseremo al vuoto o all’insegnamento che ci ha lasciato?
Scusate queste mie precisazioni che si accompagnano ad una figura così particolare in un giorno di così tanta intensità, ma sono sicura che sia un’opportunità.
Saper accettare ciò che ci viene dato, il piacere di condividere esperienze con persone di alto spessore, che migliorano le nostre esistenze, deve essere sprone per essere noi stessi persone migliori.
Nessuno di noi farà le cose nello stesso modo in cui le ha fatte Mariano, ma tutti noi possiamo imparare a farle come le ha fatte lui: al suo meglio.
Questo è il vuoto che ha riempito nelle nostre vite: lui ha seminato in noi l’esempio di un cammino fatto con scrupolosità, con determinazione, dedizione, umanità e anche di certo tanti errori, ma nella consapevolezza che servono, altrimenti non si può imparare.
Se non faremo crescere qualcuno dei semi che anche lui ha piantato in noi, allora risulteranno vane le belle parole, i grandi elogi che gli abbiamo rivolto.
Fare un piccolo passo in avanti. Guardare e imparare da chi ha saputo essere esempio e impegnarci per essere migliori.
Accettare la testimonianza, l’esperienza di chi ha scelto di vivere in un modo che ha dato questi frutti che siamo proprio noi, riconoscendogli il coraggio di aver saputo essere chi ha sentito di essere nel profondo.
A tutto questo, per tutto questo, io ti dico ancora: grazie Mariano.
- Ciao Doc
- La notte dei miracoli
Sei sempre così profonda Paola, quasi mistica.
In effetti le persone che vanno via da mondo non lasciano il vuoto assoluto, resta quello che hanno fatto e che hanno detto, quello che si è creato con loro in relazioni o attese, però è il senso di vuoto che per primo si percepisce, nell’immediato è il vuoto che avvolge chi resta, è l’assenza fisica, il sentirne le parole, la stretta di mano, lo sguardo o un abbraccio.
Le parole per definire i sentimenti e le cose sono tante, è troppo grande il mondo delle parole, perdoniamo quelle che ci sembrano poco adatte.
Più che approvate cara Teresa, grazie a loro riflettiamo. Grazie infinite.