“Gli anni al contrario” di Nadia Terranova
Ho letto questo libro “Gli anni al contrario” di Nadia Terranova (Einaudi stile libero) con i miei occhi e diverse teste. Quelle che sapevo lo leggeranno tra poco, quelle che mi sono tornate in mente dal passato. E quando l’ho finito non so bene cosa ho pensato. Quali erano i sentimenti che provavo? Rabbia, dolore, vergogna? Non lo so, quello che sapevo era che non era indifferenza.
Non so perché Nadia abbia scelto di parlare di questo argomento; se lei è una delle tante Mara del passato, se si è sentita Aurora, se ha compatito Giovanni. O forse nessuna di queste motivazioni, ma ha deciso che ognuno di loro meritava di esistere.
Vorrei leggere questo libro insieme a un gruppo di ragazzi, vorrei leggerlo con chi non vota più, con chi ci governa, con chi ha spezzato i nostri sogni, con chi ha giocato con la vita degli altri preservando la propria.
Giovanni e Aurora sono anime che tornano da un passato che noi abbiamo vissuto. Le lotte politiche, i fascisti e i comunisti, i buoni e i cattivi, le Brigate Rosse e gli attentati. Noi l’abbiamo sentita quella ventata di rabbia, quella coscienza politica, quella necessità di prendere parte a qualcosa che sapevamo avrebbe cambiato la nostra vita, anche se non potevamo immaginare come sarebbe finita. Allora non potevamo sapere che i giovani della “Quarta Internazionale”, sarebbero andati a lavorare in banca una volta ripuliti dai gilet colorati e con i capelli di nuovo corti e barba fatta; non volevamo credere che la violenza dovesse essere l’unica strada; non potevamo permettere che si consumassero ingiustizie contro quella classe operaia che si era caricata il Paese sulle spalle. E tanti di noi hanno combattuto quelle battaglie nelle piazze, nelle scuole, a volte solo dentro le mura di casa, ma ci toccavano, ci coinvolgevano, ci facevano crescere. Poi su tutto è caduto un velo di silenzio, di soffocamento, di droga, di apatia, di perbenismo, di “pace”, ma che ha zittito tutto. È stato facile spazzare via idee che portavano terrore e paura, ancora più facile spezzare vite che si erano nutrite di quei sogni combattuti nel modo sbagliato.
Aurora e Giovanni. E Mara. Famiglie, essere figli, essere genitori. Quale ruolo ci si adatta di più? Qual è quello che riusciamo a completare nel modo migliore? Amore, amicizia, paura, debolezza, ideali. E ancora tanti altri sentimenti ci sono in queste poche pagine che ho letto in un fiato, che mi hanno tolto il sonno, che hanno risvegliato uno spirito che sapevo non sopito, ma non credevo che avesse ricordi così forti.
E rabbia. Quella vecchia cara amica di sempre. L’altro giorno Lorenzo Marone la definiva “positiva”, perché provoca cambiamenti, perché spinge all’azione. È vero. Ed è anche la molla che non ti fa chiudere gli occhi, che non ti permette di guardare da un’altra parte. E che spesso, accompagnandoti attraverso una strada diversa, ti riporta a una nuova solitudine.
Perché non è facile essere. Non è facile avere pensieri e condividerli. Non è facile essere coerenti. Non è facile essere sinceri. Di fondo non è facile vivere, ma tanti, per fortuna, non conoscono nessuna alternativa al modo che hanno di farlo.
Giovanni Santatorre, Aurora Silini, giovani studenti nell’Italia del 1977, figli di famiglie che vivevano la propria condizione di comunisti e fascistissimi che hanno la fortuna di incontrarsi, di innamorarsi, di avere una figlia, Mara. Quella che poteva essere una bellissima storia d’amore, diventa lo scontro tra chi tenta di proteggere la propria famiglia al suo interno e chi vuole fare la stessa cosa, ma all’esterno. Giovanni vuole essere parte attivo della lotta, vuole contribuire a cambiare il mondo che ospiterà sua figlia. Aurora vuole proteggere sua figlia per farla crescere e difenderla dagli errori del padre e del mondo. Giovanni cadrà vittima dei suoi sogni che si perderanno in luride siringhe che lo segneranno con l’AIDS; Aurora resterà prigioniera di un sogno d’amore che non ha saputo forse difendere, che non ha avuto la forza di vivere. A Mara resteranno gli occhi di chi è stata protagonista e vittima di quegli anni. Occhi che hanno voluto vedere, per essere pronti a raccontare.
Nadia ha avuto una capacità enorme nel suo modo di scrivere. Tutti questi sentimenti, queste emozioni che ha raccontato e che mi sono esplose dentro quando ho richiuso il libro e che hanno continuato a bruciare anche dopo, lei li ha tenuti tutti sotto controllo. Discorsi profondi e leggeri allo stesso tempo, che scavano e ricoprono le ferite, che depositano semi senza far crescere erbacce. Sono lì, liberi di esistere per quello che vorremo. Liberi di fare male o di lasciare indifferenti. Liberi di scavare in chi ha un passato che riconosce o di essere cancellati da chi non ne comprende l’essenza. Liberi di insegnare che la vita si vive sempre dentro una società e non c’è modo di essere estranei a questo. E che per essere liberi bisogna pensare, conoscere, essere.
Anni al contrario, anni sprecati, anni bruciati, anni vissuti… anni. Tutti gli anni della nostra vita, quella sola meravigliosa unica occasione che abbiamo per capire a che gioco stiamo giocando.
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