Arcoscenico – “La voce rotta di Napoli”
Sabato 17 novembre a Cava si è inaugurata una stagione teatrale. In sé non è una notizia così straordinaria, perché la nostra città è ricca di eventi del genere, di più o meno spessore. La cosa nuova, sicuramente positiva, che vale la pena di sottolineare, è che sono due le compagnie che lavoreranno nello stesso cartellone: Il Piccolo teatro al Borgo del maestro Mimmo Venditti, e Arcoscenico. Bella intuizione, bella dimostrazione di maturità in una cittadina che fa delle separazioni i suoi grandi cavalli di battaglia.
Ma veniamo al dunque. Lo spettacolo di apertura è dei giovani di Arcoscenico, con “La voce rotta di Napoli”, regia e drammaturgia di Luigi Sinacori, con in scena Mariano Mastuccino, Licia Castellano, Federico Santucci, Gianluca Pisapia, Maria Fiungo, Francesca Cretella e, al suo debutto, Anna D’Ascoli.
Al nostro arrivo l’impressione è di un luogo di raccoglimento. La sala all’interno del Seminario dà un senso quasi di preghiera. Non sarà un caso.
Si parte con la musica, poi poche parole, ed è subito accoglienza. Un fermo immagine. Un mercato, gli avventori e un Pulcinella. Lui è protagonista, lui è narratore. Il canto della “palomba” che, legata al palo, torturata e seviziata, non smette di cantare “in faccia all’oppressore”. La libertà, il senso di giustizia non si spegne se non con la morte. Morte che non tocca quel Pulcinella perché lui non può morire, neanche sotto i colpi di una pistola. La sua è un’anima e sempre sarà presente nella vita di questa città.
Sul palco, dopo le uscite dei giovani attori, arriva Mimmo Venditti. Una poesia, un racconto. Dialetto di strada, di vita, di gente che lavora. Una partecipazione profonda, le rughe sul volto di chi aggiunge alle parole l’esperienza di vita e a me viene in mente la voce di Totò quando recita “A livella”. La sua invece è una poesia di Viviano e si racconta di una morte. Ancora una. La brutta notizia accompagnata a casa, dove si mescolano preghiere e pianto. Parole che descrivono la vita che continua e che si ferma allo stesso tempo, come l’acqua che si consuma bollendo nella pentola e il fuoco che si trasforma in cenere. E quell’attesa di un padre, di un marito, che non farà più ritorno. Racconto che passa dalle mani, dagli occhi. Dolore che attraversa ogni muscolo. Poesia non recitata, vissuta.
Inizia un’altra scena: è la guerra, la ricerca di chiunque abbia colori e tratti tedeschi. E quel giovane innocente, invano difeso dalle “femmine di vita” mentre subiscono palpeggi e oscenità, è un “soldatino senza mani”. Sarà descritto da una delle prostitute e solo in quel modo quell’essere indifeso assumerà le sembianze di una persona. È il ricordo, è il racconto che ridona vita a chi vita non ha più.
E poi… Povertà e abbandono. Un Vincenzo De Pretore qualsiasi. Un figlio senza padre, senza mestiere, senza futuro che non sia quello del “mariuolo”. La sua unica possibilità è affidarsi ad un Santo e chi più di san Giuseppe può essere degno di questo compito? Ma non basta questa intercessione per salvare la vita al De Pretore. Ma è giusto che un orfano ladro, affidatosi al santo più importante del Paradiso, debba davvero morire? E la voce di Dio interviene per giustificare la sua scelta mentre l’altro si difende. E aborto e bambini abbandonati e sofferenze e quelle leggi divine viste come il sogno di una possibile promessa che spinga a scegliere la morte piuttosto che continuare una vita da “mariuolo”.
Torna la musica e questa volta la conosciamo benissimo. Pino Daniele e la base musicale di Napul è.
L’atmosfera stimola la visione delle immagini. E di stimoli ce ne daranno tanti, forse anche troppi, tutti insieme.
I ragazzi sono tutti di schiena. Un cappello in testa dà diritto a prendere la parola.
Ognuno una battuta, ognuno una verità, ognuno un pensiero su quella città che contiene tutto e anche i suoi opposti.
Napule è na’ camminata, inte e viche miezo all’ ato
A Napoli tutti recitano, tranne che di fronte ai veri problemi.
Napule è mille culure, Napule è mille paure
Il teatro che sostituisce la famiglia. Un cuore che batte. Vivere sul serio sul palco quello che gli altri nella vita recitano male. Teatro con fantasia ma che parte da spunti reali.
Napule è a voce de’ creature che saglie chianu chianu
Ogni minuto muore un imbecille e ne nascono due. Proibito dare consigli se non te li chiedono.
Napule è na carta sporca e nisciuno se ne importa
A Napoli restano solo i sopravvissuti: città dominata, ma mai domata.
La canzone, come detto, non aveva parole, le ho aggiunte io perché quella musica non si ricorda mai da sola e perché la recitazione e il testo sono descrizioni di una stessa città. Un luogo particolare, dove si convive con i problemi e lo si fa col sorriso sulle labbra. Una città che è bella e pericolosa, dove si va avanti grazie anche ai modi di dire “Adda passà a nuttat”.
E tu sai ca nun si sule…
Applausi meritati per tutti, e all’improvviso ci ritroviamo stranamente, non solo a fare i complimenti per quanto visto, ma a chiacchierare con Luigi, i suoi amici e Mimmo Venditti.
Situazione nuova, che ha come primo interlocutore, tra il pubblico, Franco Bruno Vitolo. Sono troppe le cose che conosce di questa città, di queste persone, del loro vissuto, per non cogliere l’occasione di allargare le conoscenze di chi, come me, ne sa molto di meno. Ma sono belle le storie che Mimmo racconta di Eduardo, degli incontri con Gassman, la speranza verso questi ragazzi che ha visto nascere nel teatro, crescere con lui fino a scoprirne il reale potenziale. La strada sarà ancora lunga da percorrere, ma la voglia è tanta e la guida è forte.
Non c’è più pubblico ormai, siamo in pochi a continuare questi racconti da salotto più che da dopo teatro, ma quando c’è piacere nella scoperta e nel confronto, vale sempre la pena dedicare il proprio tempo a chi sa regalare emozioni.
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